Archivio 2005
Data di pubblicazione: 3 November 2005
Nell’epoca dell’ambiguità sessuale promossa a nuova norma sociale, delle avventure occasionali banalizzate dalla diretta dei reality e dei baci omosessuali santificati dalla pubblicità, è davvero difficile continuare a sentire la carica trasgressiva che uno spettacolo come «The Rocky Horror Show» aveva nel lontano 1973 quando andò in scena per la prima volta a Londra.
Ma da molto tempo il musical di Richard O'Brien ha smesso di essere uno spettacolo qualsiasi. Ogni replica è un happening, con tutta l'imprevedibilità che deriva dalla fondamentale partecipazione del pubblico e per molti affezionati – diciamo comprimari di platea, dato che spettatori sarebbe veramente troppo riduttivo – sarà difficile rassegnarsi all'idea di non poter più partecipare alla festa.
A Londra, dopo trent'anni di repliche, il Time Warp non si balla più già da due anni. E ora a Milano l'ultima tournée chiude nel trentesimo anniversario dell'uscita del film che lanciò la carriera di Susan Sarandon nel ruolo di Janet.
Il film ha contribuito molto a creare e alimentare il culto dello show. Persino la partecipazione del pubblico che è diventata da tempo uno dei punti centrali dello spettacolo è nata, stando a quanto narra la leggenda ufficiale, in un cinema. Un cinema americano, per la precisione, dove un giorno uno spettatore cominciò a rispondere alle battute degli attori sullo schermo. Ma la moda è subito passata al teatro in un crescendo inarrestabile. Dovunque arrivi lo spettacolo, in platea c'è gente che si è vestita per l'occasione, e alcuni indossano costumi tanto ben studiati da creare disorientamento fra gli spettatori «vergini», distinguibili a colpo d'occhio perché sono vestiti come se si trattasse di andare ad assistere a una recita di Ibsen.
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